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giovedì 10 settembre 2015

South West fiftheen

Vivere a Londra era il mio sogno dalla prima volta che ho messo piede a Stansted.
Stare in un Paese in cui capisci ciò che dicono e vieni capito quando parli, in cui dici X ma con sottile ironia fai intendere Y, in cui non bastano i miei fakissimi 10/10 per vedere tutta la sua bellezza ...meraviglioso.
È un po'il corrispettivo estero di Roma, solo che qui le cose funzionano, anche se tutto questo ha un prezzo, che non so se riuscirò a pagare.

Ho iniziato a cercare seriamente lavoro a metà novembre 2014, quando il corso era ormai agli sgoccioli e pensavo di avere quel quid in più rispetto ad altri laureati.
Ma manco pe'gnente. L'unica cosa che attirava un po'l'attenzione dei recruiter era un'esperienza universitaria fatta per puro caso. Volevo scrivere, questo tirocinio dava la possibilità di farlo per un quotidiano locale e vi ho preso parte, imparando un sacco di cose nuove e appassionandomi d'Europa. Già prima di essermi laureata allora ho deciso che avrei fatto qualcosa per specializzarmi nei mille cavilli dell'Unione ed a settembre son partita per un paese di cui non conoscevo una sola parola, in nessuna delle due lingue ufficiali. Poteva essere un suicidio e lo è stato.
Statene certi, se qualcosa di male può succedere succederà a me.
Ho conosciuto persone meravigliose che hanno reso i miei tre mesi più sopportabili (avete idea dello sforzo che si deve fare per evitare i contatti umani quando non si parla la lingua del posto?), ma il mio CV, la ragione per cui ero lì, non ha avuto scosse di alcun tipo, è rimasto piatto.

Tra ottobre 2014 e luglio 2015 ho mandato 36 curriculum (e relativa cover letter di volta in volta personalizzata) in risposta ad annunci, tre candidature su siti aziendali, fatto richiesta per ogni fottuto stage alle Istituzioni, pure ad una in Slovenia di cui mi fregava niente.
A me quaranta e passa candidature in 9 mesi sembrano tante, anche considerando che puntavo a due tipologie di carriera precise (con qualche oscillazione ovvio, io non sopporto le pellicce ma domanda ai pellicciai l'ho fatta lo stesso, l'etica quando hai trent'anni - quasi - e vuoi affrancarti passa in secondo piano rispetto ai soldi) e che spesso mi mancava un requisito fondamentale: il francese.
Ovunque la lingua di lavoro è l'inglese, si contratta in inglese, si scrive in inglese, si parla in inglese, ma se non parli bene (un B1-B2) anche il francese ciao-quella-è-la-porta.
E allora da gennaio a maggio vai di full immersion di francese, lezioni 1-2-1 tre volte a settimana, alla fine ero un quasi B1, avessi continuato durante l'estate sarei stata in grado di parlarlo non dico fluentemente ma quanto meno di riuscire a creare frasi più velocemente rispetto ad ora.

Ho sperato fino all'ultimo che qualcuno mi chiamasse, mi mandasse un'email o un vaffanculo, ma non c'è stato niente da fare, l'ultima interview poi mi è sembrata una presa per il culo. Mi promettono che entro una settimana mi faranno sapere qualcosa, che l'esito sia positivo o negativo. Io, eccitatissima perché era un'organizzazione fighissima che studiava un problema che a me interessa, passo la settimana su Gmail a guardare nello spam, tra le schede, se per caso il forwarding non avesse funzionato... niente. Dopo due settimane dal colloquio (passate sempre a scartabellare Gmail), mando una mail deferente con cui chiedo se posso avere informazioni sullo status della mia application, se potevo considerarmi libera oppure volevano approfondire le cose (era un percorso con due step) e mi dicono che mi scriveranno a breve.
Questa email, l'ultima che riceverò dall'organizzazione e che tengo nel folder Application,è datata 6 luglio. Ci speravo ancora, il lavoro sarebbe iniziato a settembre, c'era tutto il tempo!, ma sentivo anche la forza d'animo aggrapparsi alla colonna vertebrale per non cadere. È stato in uno di quei momenti in cui ti guardi indietro e maledici ogni scelta fatta, ogni sliding door presa o persa, che ho richiesto due lettere di raccomandazione, il transcript degli esami in inglese (un fascicolone enorme con tutta la descrizione di tutto il sistema universitario). L'IELTS già l'avevo fatto, academic così vedono che sono brava a parlarlo!, per quello ero a posto (e contenta come una pasqua, 8.5 nel listening era fuori da ogni aspettativa).

Il 12 luglio, domenica, mentre tutti dormivano mi sono candidata a sei Master (che in Italia dovrebbe essere riconosciuto come laurea magistrale/specialistica), in sei università differenti. Tutti MA/MSc/MRes, perché una magistrale in giurisprudenza (LLM) già ce l'ho e non serve ad un cazzo. A meno che non volessi intortare il diritto con un po'di finanza, ma non è una cosa che saprei fare quindi no grazie.
Mi rendo conto anche solo pensandolo che è una cosa stupida di cui non ho motivo di gioire ma mi ha fatto piacere che 5 su 6 mi abbiano dato la loro benedizione e che l'unico che abbia detto no (un no che suona perentorio visto che si basa sul mio background accademico) sia quello che avevo preventivato.

Studiare fuori costa, se il Paese ospitante usa pure una moneta diversa più forte dell'euro è la fine.
Ho fatto due conti, i miei genitori hanno fatto i loro, e alla fine hanno deciso (contro la mia volontà, sia messo agli atti) di farmi usare l'eredità da poco sbloccata che avevo ricevuto.
Volevo fortissimamente usare quei soldi (tanti soldi, se penso a cosa faceva per campare) per qualcosa di bello, per qualcosa che a priori sarebbe stato bello. I mobili per la casa, il mio abito da sposa, un viaggio intorno al mondo...
E invece no, io li ho investiti per venire qui.
Io sono nella mia fantastica cameretta che puzza di vernice perché è morto qualcuno che in un silenzio autoritario teneva su tutta la baracca.
Non avrei mai pensato di piangerlo così tanto, per così tante cose.

Poi penso che sicuramente anche questa esperienza sarà bella, che ne uscirò soddisfatta con un contratto di lavoro (anche stage va benissimo, non ho alcuna pretesa, non chiedo altro che vedere come si fa) e che tutto questo (i soldi, il trasferimento, la nostalgia del mio mondo, delle mie cose) ne sarà valsa la pena.
Questo non mi rende le cose più leggere, ma allenta un po'quei due ferri da maglia che mi pare mi si siano conficcati tra le costole dritte nei polmoni e che non mi fanno respirare.

Le cose saranno leggere quando anch'io avrò un posto per terra nella sala riunioni di qualche ufficio, che sia a Londra, a Bruxelles, in Italia o dove volete voi. Quando smetterò di tirare giù madonne ogni volta che mi guardo indietro.
Spero che tutto questo accada presto, perché sono un po'stanchina e Brecht non ha più ragione.